Di Alessandro Beltrami
Erano duemila i metri quadrati in origine. Oggi ne restano circa duecento, e fino a pochi mesi fa erano completamente anneriti dal fumo delle candele, delle lampade e degli incendi. Ora invece i mosaici della basilica della Natività a Betlemme sono tornati, letteralmente, a brillare. «Sotto la coltre spessa di nero sono emerse tessere d’oro, di madreperla e, caso davvero raro, d’argento – spiega fra’ Eugenio Alliata, archeologo e docente presso lo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme nonché direttore del Terra Sancta Museum –. Quest’ultimo è un materiale che esige una tecnica perfetta di invetriatura perché il metallo non ossidi al contatto con l’aria. È bastato semplicemente pulire perché tornasse a splendere».
Domani, presso la Delegazione di Terra Santa a Roma ( Via Matteo Boiardo, ore 17.30) fra’ Eugenio Alliata racconterà gli interventi di restauro partiti nel 2013 sulla basilica fondata da Costantino e ampiamente ristrutturata dall’imperatore Giustiniano nel VI secolo: «La ragione dell’intervento è stata la grave situazione del tetto, che perdeva acqua. La copertura attuale risale al Settecento, ma sono stati ritrovati elementi del soffitto eseguito dai francescani nel Cinquecento e altri ancora più antichi», come le capriate in cedro del Libano di epoca giustinianea, mescolate a larice veneziano e quercia dell’Anatolia. Conclusa la delicata operazione al tetto e alle murature («il nartece potrà essere liberato dai sostegni lignei collocati ormai quasi ottanta anni fa, durante il mandato britannico sulla Palestina») si è potuto passare ai mosaici. I lavori sono stati affidati al Centro Restauro Piacenti di Prato e sono finanziati oltre che dallo Stato di Palestina, da Italia, Vaticano, Grecia, Russia e Germania.
È stata l’urgenza del restauro a sollecitare il governo palestinese a intervenire, con l’accordo – non scontato – delle tre Chiese che gestiscono il luogo sacro, ossia la cattolica, l’ortodossa e l’armena: «È un grosso risultato – spiega fra’ Alliata – perché nella basilica della Natività la questione è molto complicata: persino più che al Santo Sepolcro, dove almeno tutto è definito…». Un gesto ecumenico che recupera il significato stesso dei mosaici: «Sono stati eseguiti in epoca crociata tra il 1165 e il 1169, quando la Terra Santa era un regno latino. Le maestranze che hanno lavorato sui ponteggi sono siriache. Di due maestri conosciamo il nome: Basilios e Efrem, le cui ‘firme’ compaiono nei mosaici. La scelta iconografica è strettamente legata a Betlemme: sopra le colonne ci sono i ritratti degli antenati di Gesù e quindi, nella porzione di parete superiore, una teoria con i grandi Concili ecumenici, tutti avvenuti in Oriente. Ognuno di essi è simboleggiato dall’immagine di una chiesa riccamente decorata, con il libro dei Vangeli sull’altare e il decreto principale del Concilio, scritto in greco. È significativa questa presenza greca, tanto linguistica che culturale, durante il periodo crociato. Nel transetto, dove sono raffigurate scene dal Nuovo Testamento, le scritte sono in latino. Questo significa un periodo di pace e collaborazione tra le Chiese cattolica e ortodossa». Un’iscrizione nell’abside ricorda Manuele I Comneno, imperatore di Costantinopoli, e il re latino di Gerusalemme Amalrico che, insieme al vescovo di Betlemme Raoul, ristrutturarono in quegli anni la basilica. «Inoltre secondo un pellegrino greco di nome Focas, che visitò il sito nel 1168, raffigurate nei mosaici c’erano anche le effigi degli imperatori bizantini. Un secolo dopo il grande scisma c’era dunque accordo tra le Chiese. Ed è in piccolo quando accade oggi: le diverse comunità grazie a tolleranza o collaborazione permettono che i lavori si compiano».
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