Di Daniela Giammusso Centinaia di mani al lavoro. Decine di pennellini, piccole spatole, ma anche grandi chiodi, lastre di piombo, chilometri di ponteggi. In tutto 170 specialisti all’opera. ”Sembra quasi di essere nel cantiere del Duomo”, dice Giammarco Piacenti, Ceo della ditta, italianissima, che porta il suo cognnome. E invece siamo in uno dei luoghi più cari al mondo per la cristianità, ma sacro anche ad ogni viaggiatore appassionato d’arte e archeologia o per chiunque creda che anche solo una ”grotta” possa essere il più forte messaggio di pace nel mondo.
E’ la Basilica della Natività a Betlemme, patrimonio Unesco dal 2012 e dal 2013 teatro di quell’imponente opera di restauro che oltre a metterla in sicurezza e ricostruirne il tetto ”cercando di salvare il più possibile dell’originale), sta svelando, almeno in parte, come doveva apparire quel luogo sacro secoli fa ai milioni di fedeli in pellegrinaggio.
”Qui tutto era un sontuoso e lucente cammino verso la Grotta”, racconta Marcello Piacenti, site manager del progetto di restauro. Lo testimoniano i colori ritrovati dei mosaici alle pareti: verdi sgargianti, turchesi, rosso, tantissimo oro, che ora sono tornati a luccicare sulle tessere di pasta vitrea dedicate alla vita di Gesù. Due mila metri quadrati di mosaici, al tempo illuminati da 32 finestre in più e ”mai toccati prima – racconta Giammarco Piacenti – Ma si calcola che 28 milioni e mezzo di tessere siano andate perdute per l’incuria”. Commissionata dall’Imperatore Costantino e da sua madre Elena, inviata dal figlio nelle provincie dell’Impero alla ricerca dei luoghi sacri alla cristianità (celati tre secoli prima da Adriano), la Basilica fu costruita tra il 327 e il 339 d.C., distrutta dai Samaritani nel VI secolo e subito ricostruita da Giustiniano. Quello voluto dal Presidential Commitee for the Restoration of the Natività Church, e finanziato anche da tanti stati “amici” della Basilica, è il primo vero intervento di restauro, realizzato, però, ”senza mai chiudere l’accesso ai visitatori”. E allora, giorno dopo giorno, magari entrando dal quel capolavoro in legno, oggi restaurato, della Porta Armena, sotto le mille lampade colorate tipiche di questa parte del mondo, ecco nuovi segreti che i restauri stanno svelando. Come ”il ciuchino che porta Gesù a Gerusalmemme – racconta il CEO – che sembra proprio sorridere. Quasi si rendesse conto dell’importanza della persona che sta accompagnando”. C’è poi il settimo angelo, per secoli scomparso alla vista, ora riemerso grazie alla termografia con la sua tunica di tessere bianche e celesti e l’aureola dorata. E qui e là anche le ”ferite” importanti di assedi e pallottole.
”Ci sono poi particolari che siamo andati a cercare con ostinazione, perché le fonti ci raccontavano essere lì”, dice ancora Marcello Piacenti. Come quelle tracce d’oro e malachite che testimoniano che anche i capitelli erano lucenti e colorati, così come gli architrave in cedro libanese ” pieni di dettagli lumeggianti, tra ovoli dorati, disegni di volute, rosoni”, quasi in un ricchissimo broccato. Proprio lassù, nascosta agli occhi di chi passeggia nella grande navata, la scoperta di nuove, sconosciute, tracce dell’epoca di Costantino. ”Si tratta – spiegano – di materiali lignei da reimpiego, decorati, trovati all’interno degli architravi di Giustiniano e ad essi precedenti”. Sarà il Carbonio 14 a confermare o meno datazione e teoria, giudicata però ”possibile” dagli archeologi.
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